“Se possiamo ancora sperare in una rigenerazione del nostro pianeta, questa potrà partire solo dai popoli indigeni”, dice Sara Imilmaqui Aguas, mapuche huilliche, promotrice dell’organizzazione Mapu Domuce Newen, un gruppo di dodici donne che da sole a senza aiuti, si stanno opponendo alla titanica multinazionale spagnola Endesa, che dal 1996 sta costruendo un enorme diga vicino a Ralco, pueblo posto in pieno territorio mapuche pehuenche nella zona dell’alto corso del fiume Bio Bio, in Cile. Sono donne coraggiose, per la maggior parte anziane, alcuni con nomi divenuti il simbolo della resistenza di un popolo, come le sorelle Nicolaza e Berta Quintreman che vivono, vicine, in due semplici case di legno, con i due figli maschi, abbandonate dai mariti.
Un inverno di qualche anno fa vennero chiamate dal presidente Lagos in persona al palazzo della Moneda, dove arrivarono dopo un giorno di viaggio su uno dei tanti bus che collegano Los Angeles con Santiago. L’incontro, come era prevedibile, non cambiò la loro situazione e le pecore, le galline e i maiali continuano a pascolare in un pezzo di terra sempre più a rischio di espropriazione.
La storia della costruzione della diga a Ralco è sì una delle tante vicende di interessi politici ed economici che legano il governo cileno con quello spagnolo, ma acquista un’altra rilevanza se si pensa che furono proprio gli spagnoli a sottomettere il popolo mapuche.
Tutto cominciò durante gli anni ’60; ma in piena dittatura di Pinochet venne approvata la famigerata legge elettrica, che autorizzava l’inizio delle “esplorazioni” e degli studi, tenuti debitamente segreti, sul territorio.
All’epoca della costruzione delle diga di Pangue, finanziata dalla Banca mondiale, Aylwin nuovo presidente eletto nel periodo di transizione che seguì la dittatura, ribadì che non si sarebbero fatte altre centrali e quindi le comunità mapuche pehuence non dovevano temere per il proprio territorio.
L’albero che dà il nome a tutto il popolo della cordigliera: pehuenche, in mapudungun, la lingua mapuche, significa “ Gente del Pehuen”, l’araucaria.
Le comunità dell’Alto Bio Bio per sopravvivere necessitano dell’alternanza inveranada- veranada, pascoli estivi e pascoli invernali, sviluppata per secoli, che ha permesso la riproduzione sociale, economica e culturale, legata alla transumanza stagionale, al clima, alla neve delle Ande.
Sono amministrate come tutte le altre comunità mapuche: a capo di ciascuna c’è il lonko, portavoce e amministratore degli interessi della comunità, mentre alla machi, figura femminile spetta il compito di guaritrice corporale e spirituale.
Già con la costruzione di Pangue intere comunità, di cui si ignora il numero, vennero costrette a spostarsi in luoghi inadatti alle loro abitudini. Il ciclo invernada-veranada è il bioritmo vitale di questo popolo, una volta sradicato e trapiantato in un territorio dove non c’è la foresta e manca il fiume, la comunità decade.
Il popolo mapuche continua nei secoli a lottare per restare a vivere nel proprio ambiente, strappato da questi luoghi vive ai margini delle grandi città dimenticando la sua lingua e la grande saggezza del suo popolo.